lunedì 17 dicembre 2012

che tempo farà?


Con un certo ritardo (e molta amarezza) riportiamo le conclusioni della conferenza sul clima sui cambiamenti climatici che si è conclusa a Doha, in Qatar, l'8 dicembre scorso, dopo due settimane di negoziati tra i 194 Paesi partecipanti.

"Scoraggiante" è l'eufemismo usato dall'agenzia di stampa Reuters che ha riportato l'incapacità di prendere decisioni forti e di avere un atteggiamento costruttivo da parte dell'assemblea.

L'unico risultato degno di nota è l'accordo sul protocollo di Kyoto, che verrà prorogato fino al 2020, anziché scadere il prossimo 31 dicembre. Il trattato prevede l’obbligo per i paesi industrializzati di ridurre le emissioni di elementi inquinanti (soprattutto gas come anidride carbonica, metano e altri) di almeno il 5 per cento rispetto alle emissiccitasioni registrate nel 1990, considerato come anno base.

Soltanto il "vecchio mondo" - e cioè i Paesi dell'Unione Europea - ha dichiarato la propria disponibilità a mettere in campo misure drastiche. La maggior parte dei Paesi si è invece dichiarata contraria, a causa soprattutto degli alti costi che imporrebbero le nuove regole.

"E' la crisi, bellezza" bisognerà spiegare ai ghiacciai, ma le previsioni - molto poco diffuse - sono a dir poco inquietanti. La temperatura del pianeta potrebbe aumentare di ben quattro gradi, anziché di due come si era detto fino a poco tempo fa, causando una serie di disastri a livello globale, come inondazioni e, all'opposto, siccità.

Cosa si sta facendo in Italia per contrastare questo fenomeno dalle cause, pare ormai certo, legate alle attività umane?


lunedì 3 dicembre 2012

co-working: due esperienze a Riga, Lettonia



Con il progetto del co-working siamo stati a Riga, capitale della Lettonia per vedere le esperienze dI co-working realizzate in quella bellissima città. Momenti conviviali, aggiornamento generale in merito al progetto e visita della città a parte, le visite riferite alle esperienze di co-working sono state essenzialmente due: la visita al TECH HUB di Riga (provate a vedere questo video e la visita al Birojnica, il primo co-working aperto a Riga.
LO SPAZIO CO-WORKING “BIROJNICA”
Il co-working Birojnica è nato su una esistente libreria che aveva la necessità di cambiare sede e che nel processo per la ricerca di nuovi spazi ha incontrato un gruppo di ragazzi lettoni che volevano aprire il primo spazio di co-working a Riga. L’unione di queste due esigenze ha generato la decisione di affitare un locale che fosse al tempo stesso spazio di coworking e libreria. Il locale inoltre è stato dotato di una zona bar. Anche ora, a distanza quasi di due anni dall’apertura, il Birojnica mantiene questa caratteristica: essere al tempo stesso libreria, spazio co-working e caffetteria.
Negli orari serali, ovvero dopo le 18.00 quando le attività di co-working e libreria finiscono, il locale si trasforma in luogo di educazione non-formale. Lo spazio viene infatti utilizzato per svolgere corsi di tipo culturale e filosofico. I corsi di maggior successo, ripetuti poi in diverse edizioni, sono stati quelli sulla Felicità e sulla Fisica.
Lo spazio viene inoltre utilizzato come luogo per promuovere eventi di tipo sociale sia dai gestori del luogo che da organizzazioni esterne che lo affittano per svolgere attività quali: conferenze stampa, presentazioni di libri ecc.
Al momento pertanto lo spazio si regge su 5 tipi di business diversi:
  1. La libreria
  2. L’affitto delle postazioni di co-working
  3. La realizzazioni di corsi di formazione
  4. La caffetteria
  5. L’affitto degli spazi per piccoli eventi culturali

     Al momento il Birojnica ancora non chiude in attivo, anche se il passivo è piuttosto ridotto e sperano di uscire da questa situazione di empasse quanto prima, anche perché lo spazio è nato con intenti profit. Per l’apertura non ha goduto infatti di alcuna sovvenzione, né di fondi pubblici o donazioni private.Attualmente i ricavi maggiori derivano dall’affitto degli spazi per gli eventi culturali, in primis per le conferenze stampa. Queste entrate sono state una sorpresa in quanto questo tipo di business non era stato inizialmente contemplato nella strutturazione del locale ed è giunto pertanto inaspettato. In pratica hanno scoperto come ci fosse l’esigenza in città di poter utilizzare uno spazio connotato come “spazio lavorativo” e non come “spazio ludico” per realizzare piccoli eventi culturali e sociali. Lo spazio in quanto “luogo di lavoro” viene giudicato e vissuto dai frequentatori come trasversale ai diversi gruppi di età, alle diverse professioni ed ai diversi background. E lo stesso succede per le attività formative che raccolgono un pubblico davvero molto eterogeneo. Molti degli eventi organizzati in questo luogo raccolgono circa 300 persone per sera: cosa che non avviene mai a Riga in altri contesti che organizzano eventi artistici.
I due gestori del locale che ci hanno accolto (colui che si occupa principalmente degli aspetti di coworking e la gestrice della libreria e della formazione) hanno entrambi sottolineato come questo spazio ancora non rappresenti comunque un modello economico sostenibile e come debbano ancora lavorare per raggiungere questa meta.
Prima di partire con l’iniziativa hanno anche preso in considerazione diverse opportunità di affiliazione o franchising presenti in Europa. Fra queste possibilità c’era anche il modello di “the Hub” in quanto il fondatore del Birojnica ha lavorato presso “the Hub” di Londra per 6 mesi. Nessuno dei modelli di franchising analizzato in fase di start up era stato pero’ ritenuto interessante. Anche ora, a distanza di tempo, sono contenti della scelta compiuta in quanto secondo loro uno spazio di co-working deve adattarsi alle esigenze della città e delle persone che in essa vivono, molto più che replicare in contesti diversi una formula standard. A questo proposito sottolineano come per uno spazio come il loro sia vitale il vicinato. I negozi dell’area si sostengono gli uni con gli altri organizzando attività trasversali e acquistando beni e servizi gli uni dagli altri.
Per utilizzare gli spazi di co-working propongono dei ticket giornalieri, settimanali e mensili. Ogni ticket oltre alla scrivania e al wi-fi include anche: caffè al bar interno, la possibilità di utilizzare database altrimenti a pagamento, la sala riunioni (su prenotazione) e la sala per le chiamate skype o le telefonate.
Lo spazio del Birojnica non è “community-based”, ovvero le persone che lo frequentano sono di tipo diverso, non svolgono tutte la stessa professione, né appartengono ad ambiti o circoli di riferimento simili. La media di utilizzo degli spazi è di 20 co-workers al giorno.
Dopo la presentazione fatta dai due gestori abbiamo chiesto loro di evidenziare gli errori commessi all’avvio della attività e di darci dei consigli per l’apertura del nostro spazio.
Ridendo, ci hanno svelato di aver commesso un errore piuttosto grave e grossolano. Il locale infatti inizialmente era utilizzabile gratuitamente da coloro che entravano per guardare un libro o per bere un caffè. E questi utilizzatori sedevano fianco a fianco con coloro che invece pagavano per rimanere nello spazio ed utilizzarlo. Hanno detto come questa dicotomia sia tuttora la piu’ difficile da risolvere e quella che periodicamente genera problemi anche ora a distanza di tempo. Ad un certo punto infatti si sono trovati a dover modificare la propria offerta e a ridurre il tempo trascorso nel locale seduti sui divano o alle scrivanie dei non-coworkers. Questo cambio di modalità di business ha generato e tutt’ora genera difficoltà con gli avventori. E’ però per loro molto importante differenziarsi da Starbuck e legittimare il lavoro svolto solitamente al bar o nelle biblioteche. A questo proposito va sottolineato pero’ come i lettoni, a differenza dei riminesi, davvero lavorino nei bar, dove si accoccolano sui divanetti, si tolgono le scarpe e si piazzano davanti al portatile con una tazza di caffè, anche per diverse ore.
I gestori del Birojnica hanno inoltre ribadito di: non partire con l’idea di gestire degli spazi troppo grandi, pensare a circa 50 postazioni come numero ottimale, evitare fin dall’inizio i “free riders” ovvero coloro che senza pagare cercano comunque di utilizzare il posto, non pensare troppo allo strutturare servizi ausiliari quanto più sul concentrarsi nell’offrire una mega connessione wi-fi e uno spazio accogliente dove lavorare.


LO SPAZIO CO-WORKING TECH HUB
Lo spazio di co-working Tech-Hub è uno spazio dedicato esclusivamente alle start up nel settore IT e delle nuove tecnologie. Questo spazio nasce come franchising del TechHub di Londra. Quando siamo entrati il referente dello spazio ha esordito dicendo: “In questo spazio lavorano team di professionisti che con le loro squadre vogliono far nascere il prossimo Google, inventare il nuovo Skype o fondare la prossima Apple. Siamo ambizioni e lavoriamo molto per raggiungere obiettivi concreti, tramite la collaborazione di diversi team di professionisti”. Lo spazio, ci spiegano, non ha problemi rispetto al chiudere a fino anno in attivo o in passivo in quanto i loro conti vengono coperti da due sponsor. Racccolgono comunque un canone di affitto in parte derivante dai membri fondatori (8 start up), da membri “residenti”che pagano una fee annuale e in parte dai lavoratori mobili. La struttura si divide pertanto fra chi occupa lo spazio costantemente e chi solo in maniera saltuaria. Gli spazi qui non vengono affittati ad ore o a giorni: il canone minimo corrisponde infatti ad un mese di affitto (circa 80€ per un tavolo di lavoro utilizzabile da più persone). Sebbene siano aperti da meno di un anno sono già giunti al pareggio ed essendo al punto di break-even stanno cercando di trovare forme di fruizione degli spazi piu’ leggere che permettano maggior circolazione di persone non stanziali senza incidere troppo sui costi. La gestione dello spazio è fatta tramite una organizzazione non profit.
Per i membri residenti che qui hanno il loro ufficio, gli spazi sono disponibili 24 ore su 24, sette giorni a settimana. 
 
La struttura nella quale lo spazio di coworking e’ ubicata è davvero molto bella, molto moderna, con travi a vista su soffitti alti. Questa ampiezza di spazio e lo scarso numero di persone rispetto alla grandezza del locale contribuisce a creare una sensazione di calma e rilassatezza: sembra proprio un ambiente ideale per creare. Anche la cucina, che viene descritta come il luogo conviviale per eccellenza, si presenta come spazio molto ampio, con ampi tavoli, frigoriferi e armadietti da poter utilizzare per tenere snack e provviste. Spesso nella pausa pranzo ci dicono di mangiare assieme e quindi di approfittare di questo momento per raccontarsi gli sviluppi dei progetti lavorativi sui quali si stanno impegando. Due volte al mese inoltre le persone più stanziali presenti nella struttura fanno colazione assieme e per due ore si raccontano quanto fatto durante le due settimane precedenti. Questo e’ l’unico momento strutturato nel quale l’obiettivo è comunicare quanto si è fatto per ottenere aggiornamenti reciproci. Tutti gli altri momenti comunicativi o conviviali sono lasciati liberi.
In questa struttura, specie nei periodi serali vengono realizzati anche eventi, soprattutto correlati al mondo dell’IT, dell’informatica, delle nuove tecnologie e del lavoro. Questi eventi sono ovviamente aperti alla cittadinanza.

sabato 10 novembre 2012

prego, sorrida

Abbiamo cercato di scattare una foto al RiGAS di questa fine 2012, con un questionario distribuito via e-mail ma anche in versione cartacea nell'habitat del gasista, ossia il punto di ritiro.

Questi sono i grafici con le vostre risposte. Si tratta ovviamente di una foto parziale, dato che le schede pervenuteci sono meno di un terzo degli iscritti, ma probabilmente rappresentano quella fetta di soci che partecipa con più entusiasmo.

Salta subito all'occhio che, negli ultimi due anni, coincidenti peraltro con la creazione delle varie associazioni territoriali, si è verificato un forte avvicinamento ai Gruppi di Acquisto Solidale e ai modelli di consumo per così dire "alternativo", dimostrazione evidente di una crescita di interesse verso i prodotti biologici e  le produzioni locali.

I soci del RiGAS sono in maggioranza famiglie con figli (35%) composti da genitori fra i 36/55 anni, che ordinano tutte le settimane, con una spesa media fra i 20/30 euro. Ben un quarto di loro abita fuori del comune di Rimini.




Nella valutazione dei prodotti molto importante è il rapporto prezzo/qualità, che sia biologico e non necessariamente certificato. L'alternativa al gas sono i supermercati e gli ipermercati.


Apprendiamo con sollievo che la stragrande maggioranza dei soci è soddisfatta dalla qualità dei prodotti, della semplicità dell'ordinazione e dell'accoglienza dei volontari al momento del ritiro.

Si è espresso quasi un plebiscito a favore del bancomat o della carta di credito per il pagamento.

E' scaturito anche l'interesse verso eventuali incontri con specialisti e laboratori di autoproduzione.

Frequentare il RiGAS influenza i soci nella sostenibilità dei comportamenti, nella sobrietà dei consumi e nel rispetto per l'ambiente.

lunedì 5 novembre 2012

la betahaus di Sofia: la sinergia che non ti aspetti

La mobilità tenutasi in Bulgaria dal 24 al 27 settembre 2012 per il progetto Leonardo Partnership sul coworking era dedicata a fare il punto della situazione per quanto riguarda i ‘compiti’ assegnati alle organizzazioni che vi prendono parte; durante la prima riunione a febbraio, svolta a Rimini, abbiamo deciso insieme quali ‘prodotti’ avrebbe portato a termine ciascuna organizzazione e sono state date delle scadenze. Il resto del progetto invece consiste nelle visite ai vari paesi per conoscere i modi in cui hanno applicato il coworking in quella città di quella nazione: finora erano state compiute solo visite, mentre questo era primo momento di esame per i vari prodotti.


Pur essendo un ‘meeting’, cioè una mobilità dedicata alla discussione dei prodotti anziché alle visite, c’è stato una presentazione di una realtà di coworking: Alexander di Betahaus Sofia, che è venuto fino a Veliko Turnovo, (250 km) per parlare di questa sua creazione. Giovane, energetico e sempre sorridente, ha vissuto per otto anni a Berlino, prima da studente poi da lavoratore ed ha sperimentato lì le prime forme di spazio condiviso prima di decidere di importare in Bulgaria il coworking.

Ci ha raccontato dello sforzo di diffondere il concetto e creare una comunità di persone che facessero parte di uno spazio di coworking e delle difficoltà di essere finanziato per aprirlo. Per fare conoscere l’argomento e iniziare a creare un nucleo di persone, hanno usato facebook, partecipato a seminari di ogni tipo, a gruppi di interesse anche solo lontanamente afferenti al tema del coworking perchè non si sa mai chi può trarne vantaggio o avere idee innovative. Per aprire il posto si sono rivolti a vari finanziatori, ma alla fine ci sono riusciti grazie al proprietario dello youtube bulgaro che ha promesso di metterci il 60% di quanto richiesto in totale - mi sembra si sia parlato di un business plan quinquennale - a patto che entro due settimane trovassero il restante contante tramite altri, e appena gli altri hanno saputo che c'era questo pezzo grosso si sono convinti in un attimo. Alla fine, hanno aperto; hanno iniziato il primo di giugno di quest'anno, in un edificio che era prima di una telecom, di 400 metri di ampiezza, su tre piani di cui ne occupano due per un totale di 1000 metri quadrati; ad oggi, ci sono circa 40 persone fisse, lo spazio è davvero grande, e dovrebbero iniziare ad essere in pari da ottobre; secondo Alexander, ad oggi è il centro della vita imprenditoriale, anzi tutti vanno lì perchè è lì che nascono le idee, una agenzia di marketing per un po' ha portato lì tutti i suoi sessanta dipendenti perchè respirassero aria nuova.

Tuttavia hanno scelto di non voler essere un incubatore di nuove imprese, perchè se ci si mette in gruppi poi ci si chiude e si perde l'unica vera ricchezza che è la community, il giro di gente che passa e va, perchè ciò che serve, ciò che si paga, è la sinergia con chi non ti aspetti: ci sono solo 20 sedie per il lavoro di gruppo, vogliono invece dei lavoratori autonomi, professionisti. Il modo migliore, ci ha confermato, è partire con un nocciolo duro di persone che si conoscono e creano un buon ambiente, dopo tre mesi arrivano i loro amici, e poi gli amici degli amici, perchè sanno che lì succede qualcosa: l'investitore vuole investire in aziende e idee, e lì le trova.
Hanno aperto degli altri betahaus in altri due-tre posti in europa e sono tutti molto autonomi tra di loro (diversamente da The Hub, che io ricordi, che è una rete in stretta relazione); hanno spiegato comunque di essere una associazione orientata al profitto, una SRL,  una impresa sostanzialmente, che deve tenersi in piedi senza sussidi di alcun tipo e pagando le tasse. Sono svariate e di diversa natura le iniziative che hanno organizzato per valorizzare la creatività, soprattutto concorsi di idee. Le migliori vincono la mentorship, una specie di tutoraggio per imparare a realizzare l’idea dal punto di vista commerciale, e i loro autori vengono mandati a fare un periodo nella Silicon Valley, la mecca della creatività.



lunedì 15 ottobre 2012

eccellenze dimenticate

Vorrei condividere una constatazione: mi sembra che troppo spesso - sull'onda del masochismo che travolge il nostro povero popolo in crisi - ci dimentichiamo o sottovalutiamo le eccellenze che pure esistono, producono ricchezza e vengono guardate con rispetto anche fuori dai nostri confini.

E' il caso del CRAB, Centro di Riferimento per l'Agricoltura Biologica, che ha sede a Torino, ente autonomo sostenuto dalla Regione Piemonte e dalla Camera di Commercio. Si occupa di promuovere e divulgare le pratiche dell’agricoltura biologica attraverso la realizzazione di attività sperimentali, didattiche e divulgative offrendo un riferimento per la raccolta di documentazione attinente le acquisizioni dell’agricoltura biologica e sostenibile, in particolare:
  • favorire lo sviluppo dell’agricoltura biologica, a vantaggio della collettività;
  • influire sul processo di diffusione dell’agricoltura biologica;
  • colmare la mancanza di riferimenti informativi locali di servizio agli operatori già assoggettati al sistema di controllo comunitario ed a quelli idonei e disposti alla conversione;
  • stimolare l’adozione delle tecniche di coltivazione e di allevamento proprie dell’agricoltura biologica da parte delle aziende ad agricoltura convenzionale, nell’intento di favorire l’espansione dell’agricoltura sostenibile.
Se questo non vi basta, sappiate che, pur costando 280 mila euro all'anno, ne genera da solo oltre mezzo milione attraverso l’assistenza diretta alle aziende agricole, o le attività che spaziano dal monitoraggio dei suoli agli studi per limitare lo spreco di acqua, fino alla lotta biologica contro i parassiti. I progetti di questo centro, spesso sviluppati con la collaborazione di università italiane ed estere, sono frutto del lavoro dei suoi ricercatori.

Eppure, nonostante tutto ciò, i tagli lineari della spending rewiew minacciano seriamente la sopravvivenza di questo gigante buono e, invece di duplicarlo ovunque, la foga cieca con cui si rastrellano soldi in questo difficile periodo storico forse provocherà la sua chiusura. Certo, ci meritiamo tutto, come dice il blogger Danilo "Maso" Masotti, ma non vi viene il dubbio che sia un po' troppo?

lunedì 1 ottobre 2012

Straw bale homes forever

Casa in paglia, Pembrokeshire, UK

Troppo facile tirare in ballo il lupo dei tre porcellini di fronte all'idea di una casa in paglia, eppure l'idea è così seducente che soprassediamo al severo insegnamento della fiaba e ne parliamo con Davide Angelini, appassionato di questo tipo di costruzione.

Da chi nasce l'idea di fare le case in paglia?

 La straw bale home nasce negli Stati Uniti, circa nel 1890, e comunque dopo l'invenzione dell'imaballatrice. In Nebraska i contadini, poverissimi, utilizzavano le balle di paglia per costruirsi dei ripari, che hanno rivelato nel tempo tutta la loro efficacia. Negli ultimi decenni interessi legati al  cemento e a materiali industrializzati, hanno bloccato la conoscenza e la realizzazione di abitazione (e non) costruite in paglia e legno. Non tanto recentemente tanti tecnici, naturalisti e persone comuni, hanno rivalutato la possibilità di costruire con la paglia, e ad oggi in Europa si contano migliaia e migliaia di case, e si sono resi conto delle enormi potenzialità di questa tecnica.
Casa a spirale, Danimarca

Di cosa si tratta, esattamente?

Esistono diverse modalità, anche a seconda della grandezza degli edifici da realizzare. Generalmente si utilizza una struttura portante in legno, ma la struttura portante può essere di qualsiasi tipo. La normativa italiana esclude la possibilità di una struttura autoportante in paglia- che invece è possibile in gran parte del pianeta. La soluzione qui in Italia è una struttura portante con muri perimetrali in paglia. Anche per le pareti interne divisorie è possibile utilizzare la paglia.


Ma come la mettiamo con il rischio sismico?

La paglia è un eccezionale materiale antisismico! Le sue caratteristiche naturali principali, leggerezza e elasticità, consentono un'ottima resistenza al sisma, riducendo così il rischio di cedimenti strutturali. In caso di terremoto offre maggiori garanzie di un edificio "tradizionale" in cemento, però ancora ad oggi non esiste nessuna prava sismica eseguita in Europa che possa garantire e certificare questo. In America esiste un test su tavola vibrante eseguito presso la University of Nevada, Reno, il risultato non lascia nessun dubbio, test superato.


Casa di paglia a Oakland, California

Ottime prestazioni, direi

Eh, sì! Oltretutto permette la traspirazione, e di conseguenza gli ambienti sono molto più salubri, ed è più resistente al fuoco di qualsiasi altro materiale,  perché le balle pressate all’interno hanno poco ossigeno, e non favoriscono la combustione.
Casa Hobbit, Galles

E se qualcuno è allergico? 

La paglia non ha batteri, non ha parassiti, non ha pollini. Non può quindi dare allergie, come invece succede con il fieno. L'importante è una buona progettazione a regola d'arte e anche una buona manutenzione (come del resto per ogni tipo di casa) che eviti le infiltrazioni d'acqua, la cosa da temere di più. Per il resto è una tecnologia molto collaudata, presente sia in Europa sia nel resto del mondo. La paglia è un materiale alla portata di tutti e risolverebbe moltissimi problemi legati alla costruzione della propria casa, favorendo  l’agricoltura e soprattutto salvaguardando il pianeta.


lunedì 17 settembre 2012

Le GASmille, i muffin alle carote del RiGAS

Guardando le carote bitorzolute della cassetta di verdure RiGAS, mi è venuta voglia di fare i muffin alle carote, dolcetti deliziosi che una nota marca cerca inutilmente di imitare :)

Le GASmille si preparano velocemente, con pochi ingredienti facilmente reperibili attraverso il RiGAS.

Ho usato:

200g di carote
130g di farina 0
120g di farina di mandorle Fattoria della Mandorla
80g di burro
100g di zucchero di canna
2 uova
1 bustina di lievito

Lavate, pelate e grattuggiate le carote. In una ciotola montate il burro con lo zucchero. Quando il composto è spumoso, aggiungete le uova una alla volta e infine le carote grattuggiate. A parte mescolate le due farine e il lievito, e uniteli al composto che dovrà essere cremoso, né troppo liquido né troppo sodo. Nel caso aggiungete farina o latte.
A questo punto riempite i pirottini oppure le formine di silicone, e infornate a 180° per circa 20 minuti. In ogni caso vale la prova stecchino che eseguirete diligentemente prima di sfornare.

venerdì 24 agosto 2012

Co-working a Vilnius, Lituania

La mobilità a Vilnius presso i colleghi lituani ha avuto luogo da martedì 17 a giovedì 19 luglio. Il primo giorno ci si è incontrati all’interno della sala conferenze dell’hotel  Algirdas, dove, dopo la presentazione delle molteplici attività dell’associazione ospitante guidate dal vulcanico Vladimir, la discussione è vertita su alcuni aspetti tecnici del c.d. ‘barcamp’, che i lituani si sono accollati e di cui  tuttavia nessuna associazione partecipante è particolarmente esperto.  In effetti, non tutte le difficoltà sembrano essere state appianate. Nel pomeriggio è seguita una visita guidata alle meraviglie del centro cittadino, prevalentemente neoclassico.
Il secondo giorno ci siamo incontrati proprio vicino ad un posto di coworking, all’interno di un centro commerciale, dove ha sede la ONG 'Avilys' finanziata dallo Stato e che ospita in alcune stanze dei giovani ‘smanettoni’.
(Quello di spalle è Alkys, il greco.)

Fa parte del circuito di The Hub .
Lo spazio è stato dedicato a queste attività da circa un anno e non è riuscito  a sostenersi, almeno fino il mese prima; frequentato da circa una quarantina di persone, si è raggiunto per la prima volta il pareggio solo dal mese appena concluso; d’altra parte, sosteneva la nostra guida Jonas, i prezzi sono molto competitivi a Vilnius e più di 60 euro al mese non si poteva chiedere a ciascuna persona. Lui è un volontario della ONG e sta lavorando per creare la comunità di persone, sia in questo spazio HUB, sia nell'acceleratore di impresa che avremmo visto l'indomani. Lo Stato aiuta a pagare l’affitto perché ritiene che il coworking abbia una ricaduta sociale positiva.

A pranzo siamo andati in un ristorante di insalate piuttosto elegante dove persone che hanno avuto problemi con alcool e altre sostanze lavorano ed imparano un mestiere dopo avere seguito un programma di circa 9 mesi. Mi ha ricordato, per certi versi, lo 'Spaccio' di San Patrignano. Il designer ha progettato gratis il posto ed i prezzi sono abbordabili, pur in una zona centrale della città. Lo Stato supporta parzialmente anche le attività di recupero come questa.
Nel pomeriggio è seguita la visita ad un castello in una città vicina, rifatto per i ¾ e che, ciò nonostante, sono riusciti a far fruttare come attrazione turistica; tra l’altro la stessa Vilnius era piuttosto affollata di turisti, soprattutto inglesi e americani.
Giovedì infine siamo andati con il pullman verso un quartiere appena periferico della città, dove è stato costruito un 'parco tecnologico'. Nel sottotetto era presente un incubatore di impresa del circuito di The Hub che ci ha colpito per l'età media piuttosto bassa dei frequentatori, quasi sempre sotto i 30. In questo posto vengono finanziati degli embrioni di impresa con un contributo fino a 14mila euro (2mila per l'idea e 3mila per ciascuna persona convinta a partecipare all'intrapresa, con un minimo di una persona da convincere e un massimo di quattro) mediante un programma di aiuto di tredici settimane, suddiviso in tre parti
Viene dato il posto come fosse un coworking; per 5 settimane si viene seguiti da un mentor (si sono costruiti una rete internazionale di persone che fanno consulenza gratuitamente, perfino Sunil dell'incubatore inglese si chiedeva come potessero strappare condizioni tanto favorevoli); sembra che le persone vogliano condividere le proprie esperienze per mettere sulla giusta strada nuove idee e dargli un indirizzo orientato al mercato. Nelle 3 successive si va alla ricerca dei potenziali clienti, a livello globale; si viene subito abituati a pensare globalmente. Infine la sperimentazione vera a propria del prodotto finito ad un gruppo di potenziali acquirenti. Si viene dunque 'cacciati' dalla casa del padre per affrontare il mondo 'adulto' degli affari nella realtà, pur mantenendo un legame ogni volta che si vuole con i propri ex-consulenti.
Si tratta, in effetti, di una 'venture capital' che richiede, in cambio del proprio investimento, il 10% delle azioni della società nascente. Quindi hanno tutto l'interesse che l'azienda vada bene, per poter far fare ritorno al proprio capitale.  Fino a quel momento erano partite circa quattro-cinque aziende, a vari livelli; se anche un dieci per cento resiste qualche anno si è già ripagata, e se almeno una diventa di successo, l'investimento è ampiamente ripagato. Sembra che siano soprattutto altre aziende a mettere il capitale di rischio, sperando nella nuova google o microsoft o facebook che faccia il botto. In fondo anche Tiscali in Italia è nata così. Pare che trovare dei finanziatori per loro sia piuttosto facile, essendo in contatto con il mondo degli affari di tutto il pianeta.

Quasi tutti i progetti sono di IT (Information Technology), anche perchè il mercato è globale per loro, perchè è il settore più moderno e redditizio, perchè è basato solo su idee, che poi vanno sviluppate magari altrove; infatti buona parte delle persone si sono poi spostate in UK o USA per imparare, per crescere. Lingua ufficiale ovviamente l'inglese: quando una signora dall'inglese stentato ha chiesto se potevano partecipare al progetto anche chi non parlava la lingua di Albione  loro hanno strabuzzato gli occhi.  C'era anche un italiano tra gli 'incubati', indistinguibile dagli altri tre stranieri del suo progetto; questo per dire che sono una classe di persone che hanno molte più cose in comune, come un certo linguaggio tecnico-economico fatto di abbreviazioni spinte all'americana e una mentalità votata all'impresa, di quante li differenzino, come la provenienza.
Siamo andati poi al piano di sotto a fare altre domande: il posto è aperto sempre (24/7, come si dice) e c'è una persona stipendiata; le persone lavorano al proprio progetto con l'energia e l'entusiasmo del ventenni esploratori, lavorando sodo fino a scoppiare, come non potrebbero e non vorrebbero fare appena passati i venti. Si percepiva una certa concentrazione e orgoglio sul proprio mondo di giovani, imprenditori, globali. Noi eravamo forse visti come turisti della conoscenza, comunque erano contenti di aprire il proprio ovile ai neofiti; Luca Nanni è stato l'unico, ad ogni modo, ad accettare l'invito all'incontro serale con un guru delle nuove imprese di venture capital. Gli inglesi bramavano ma avevano l'aereo.
Anche qui comunque creare la comunità è stato un processo lungo e per continuare il quale il giovanissimo Jonas, la stessa guida della mattina, ci avrebbe lasciato di lì a poco. Anche in questo caso il suo è volontariato.
In definitiva, Vilnius è sembrato un ambiente piuttosto dinamico, accompagnato dallo Stato e da una gioventù piuttosto attiva e nomadica.

mercoledì 20 giugno 2012

migrazioni: il GAS a parigi

 Chissà chi ha avuto l'idea di chiamare in questo modo i GAS francesi.
 La Ruche qui dit oui (letteralmente: L'alveare che dice sì) è la denominazione comune, che io trovo incredibilmente poetica, sotto la quale si raccolgono i ben 478 gruppi o ruches di Francia.

Mi sembra di capire però che l'unico requisito richiesto ai produttori è la trasparenza, e che il tutto viene portato avanti in nome di un fantomatico miglior prezzo. Come riescano a definirlo, questo miglior prezzo, non lo dicono.


Grazie a Chiara Bellasio per le foto

giovedì 7 giugno 2012

coworking - report da Zara


Il 16 mattina andiamo a piedi verso il centro, all'associazione di Renata, la Camera di Commercio degli artigiani; sono tanti gli iscritti, circa 3.500, per una città, Zara, di 80mila persone (d'altra parte la iscrizione è obbligatoria). C'è stata una diminuzione dall'inizio della crisi, quando erano circa mille artigiani di più. Si trovano dunque in una situazione simile alla nostra, diversamente dalla Turchia, che sperimenta, come abbiamo visto lo scorso viaggio, una fase di forte crescita economica.
A questa breve presentazione dell'associazione che ci sta ospitando segue quella della camera dell'industria nazionale. Il primo prodotto croato è comunque il turismo, segue l'ittica.


Ci spostiamo subito dopo alla sede della Agenzia Regionale per lo Sviluppo - nata col passaggio al capitalismo e chiamata Zadra - in una zona un po' fuori città piena di case di recente edificazione; in questo stabilimento del 2006 sono ospitate aziende nasciture, cui non viene fatto pagare l'affitto per 5 anni (poi devono sloggiare) e offerti servizi di aiuto, amministrativo, strategico e formazione e così via. Pare che occorra insegnare la cultura di impresa, dopo tanti anni di socialismo. (Inoltre le aziende di stato erano andate ai vari squali di questi periodi di transizione che le hanno svuotate e hanno messo in cattiva luce la gestione non socialista, il nuovo modo di condurre le imprese.)
I soldi li mette la regione al 60%, il resto i comuni, che hanno il 49% dei seggi del consiglio di amministrazione.
Sembra quindi funzionare come incubatore di impresa, per un'area di 160mila abitanti; non esistono tuttavia contaminazioni tra le varie aziendine, che anzi potrebbero danneggiarsi, come quella di cioccolato vicina a quella di vernici; un esempio di collaborazione sono invece i regali che ci  vengono offerti: una busta col logo del coworking elaborato da Luca e del cioccolato ivi prodotto avvolto in un contenitore con lo stesso marchio, opera della stamperia al primo piano di uno dei due imprenditori croati coinvolti nel progetto. Ci sono anche il quaderno per gli appunti e, ovviamente, del materiale turistico.


Dopo un pranzo di pesce, torniamo in albergo dove,  nella sala conferenze, Luca propone 6 video trovati nella rete che spiegano a grandi linee il concetto di coworking.

Segue un lungo intervento di Duska, architetta, e soprattutto Milenka, formatrice, sulla loro esperienza di creazione di uno spazio a Zagreb; il posto non c'è ancora, stanno tuttavia lavorando da circa 2 anni alla creazione della community, alla raccolta di fondi per aprire, alla ricerca del posto giusto, che secondo i loro focus groups dovrebbe essere in centro ed abbastanza ampio di metratura.

Portano dunque avanti la filosofia di The Hub ed anzi si avvalgono di un sister hub, quello di Vienna, che sostanzialmente li sta seguendo passo passo accompagnandone la creazione.
Danno molta importanza alle relazioni; il primo nucleo che prenderà posto determinerà, secondo loro, anche l'identità del posto attraverso la selezione di  coloro che arriveranno e che saranno la terra su cui germoglieranno i frutti. Il nucleo è stato trovato per passaparola e attraverso incontri pubblici. Fin dalla prima volta hanno avuto una quarantina di presenti, soprattutto persone che vivono in giro per la Croazia ed hanno bisogno di un posto per quando si recano nella capitale.
Per creare relazioni si sottolinea l'importanza di luoghi di incontro, la cucina, l'angolo caffè (il caffè sarà gratis); su una lavagna andranno, come si fa all'Hub di Amsterdam, attaccati dei biglietti con breve presentazioni di ogni partecipante, di modo che si sappia chi lavora e quindi potrebbe essere interessante per gli altri o i nuovi arrivati; ad Amsterdam esistono gli Host Catalyst, che mettono in contatto i vari lavoratori.
Essendo un posto basato sulle esigenze di coloro che lo vivono, si sottolinea anche l'importanza della co-creazione del posto, come a Rovereto, come ad Amsterdam; quest'ultimo è uno spazio decisamente modulabile, che può diventare una enorme sala conferenze per lezioni frontali, o un insieme di isole di lavoro sparse, o avere anche alcuni spazi privati per incontri per poche persone.
Il secondo giorno di lavoro, il 17 mattina, iniziamo a lavorare sulle loro linee guida, mediante il metodo del World Cafè, per cui si discute un argomento in gruppi e poi si cambia spargendosi per altri tavoli e lasciando solo una persona come memoria storica di quanto detto precedentemente.

I due temi, su cui abbiamo discusso mezz'ora l'uno, sono: 'quali possono essere i potenziali membri-utenti' e ' quali bisogni soddisfa della comunità'.
L'analisi dei bisogni appare in effetti un passaggio non banale; a pranzo Milenka mi cita il 'survey monkey', i focus groups gestiti volontariamente da un prof di sociologia trovato mettendo un annuncio all'università, oppure anche cercando dati sui lavoratori autonomi, sulle nuove imprese innovative, etc. Menziona anche il sempre attuale benchmarking, vedendo quali altri posti esistenti funzionano bene, su quali bisogni si sono regolati. Si può aprire un blog, creare degli eventi o distribuire dei volantini per attirare le persone potenzialmente con un bisogno da soddisfare, magari unificati dall'interesse per l'impatto sociale del proprio lavoro, e così via.
Vengo a conoscenza da una delle inglesi della possibilità del c.d. 'Regus', un piccolo ufficio individuale, abbastanza costoso e con tutti i servizi di base di un ufficio, presente anche a Zagreb, su base mensile, nato per  venire incontro alle esigenze delle persone mobili, in vacanza; il fatto è che non crea comunità.
Un altro concetto interessante, sollevato in modo entusiastico da uno degli altri membri di The Hub Zagreb che ci hanno raggiunto quella mattina sfidando la bora, è la crosspollination, la contaminazione tra idee, competenze e modalità di azione diverse, come lavoro e volontariato, che sfidano il modello economico esistente. Viene ventilata l'ipotesi di fare una vera e propria selezione delle persone che possono far parte del gruppo, mediante colloquio, o che potrebbe esserci interesse da parte di una impresa a far crescere una persona in questo spazio creativo, pagandogli una scrivania lì anziché nella propria sede. Insomma, hanno davvero studiato l'argomento questi di Zagabria.
A metà mattina un gruppo va a fare la visita guidata del centro storico, mentre gli italiani vengono portati a vedere un edificio da restrutturare comprato dalla camera degli artigiani di Renata in cui pensano di costituire il futuro coworking space di Zadar. 

Dopo un altro pranzo luculliano a base di pesce, dal quale gli ultimi tornano verso le 16.30, il pomeriggio viene usato per un altro world cafè, stavolta all'esterno della sala conferenze, davanti alla piscina, su due altri temi: 'how should this space be like? Come ti immagini lo spazio coworking, potendo decidere?' e 'come costruire una comunità sia prima sia durante la vita dello spazio coworking?'; ogni gruppo pensa a dei modi per rendere accogliente il posto, riprendendo le suggestioni della mattina: mostre d'arte, modulabilità, servizi vari, presentazione dei membri gli uni agli altri, caffè, cucina, ping pong, etc.; condividere all'interno e tenersi aperti al mondo invitando a parlare esperti etc.

Infine ci mettiamo in cerchio per le valutazioni finali e, ciliegina sulla torta, Gianni presenta un grande disegno, richiestogli la sera prima da Milenka,  in cui illustra i concetti che ha in mente mediante alcune figure. Poi gli zagrebesi tornano a casa ed è il momento dei saluti.

Sono tutti stravolti dalla combinazione di abbuffate e discussioni impegnative e molti rinunciano alla cena finale, cui sono presenti solo italiani e croati. Qualcuno ha definito piuttosto cari questi pasti, sempre tra i 15 e i 20 euro; i lettoni per esempio andavano a comprare al supermercato e mangiavano in camera.
L'indomani, il 18,  partivano quasi tutti in mattinata; io Renata ed Elisabetta abbiamo fatto un giro in battello e nel pomeriggio Luca ci ha raggiunti a casa di Renata per un pranzo-cena a base di pasta ai frutti di mare e branzino grigliato cotto alla brace nel suo cortile. Simone e Gianni invece avevano già preso la via del ritorno a tappe visitando alcuni posti di coworking in Italia: finalmente qualcuno ne vede uno dal vivo!!

martedì 29 maggio 2012

La crescita delle multinazionali


Se compilassimo una graduatoria in cui elenchiamo gli stati in base al prodotto interno lordo e le multinazionali in base al fatturato, troviamo che nei primi 100 posti siedono 44 multinazionali.


Questo è solo uno dei tanti dati che troviamo nella ricerca Top 200 - La crescita del potere delle multinazionali diffusa recentemente dal Centro Nuovo Modello di Sviluppo presieduto da Franco Gesualdi.

Ricerca sulle prime 200 multinazionali (file .pdf)

Personalmente non apprezzo le teorie complottistiche, ma documenti come questo devono far riflettere sullo spaventoso peso politico che poteri economici come questi provocano sull'assetto mondiale.

Basta, mi fermo, ho esaurito le parole grosse.

mercoledì 23 maggio 2012

l'agricoltura biodinamica sostenibilità e qualità alimentare

Incontro con Giorgio Bortolussi
Bottega Diversamente bio - via della Lontra Grotta Rossa di Rimini
lunedi 28 maggio ore 21.00

Per millenni l'uomo si è relazionato con la natura, in un rapporto stretto di condivisione, rispetto e cura., seguendone i ritmi e modellando giorno dopo giorno il paesaggio per trarne nutrimento.



In questo ultimo secolo si è perso questo senso di appartenenza, si è persa la connessione profonda con il sapere contadino che nelle manifestazioni della natura trovava la ragione del suo operare.

I principi dell'agricoltura biodinamica restituiscono senso al lavoro agricolo mettendolo in armonia con la natura e le sue leggi, dove l'uomo torna a essere regista consapevole in un percorso che si proietta nel futuro.



Il rapporto tra uomo e natura si esplicita nel paesaggio. Il primo fu Francesco Petrarca che, in contraddizione con una visione medievale del mondo che separa l'uomo dalla natura e la considera "in preda a demoni", paragona l'esperienza di visitare un luogo celebre per la sua altezza all'elevazione verso la beatitudine. La natura diventa paesaggio visibile, percebile attraverso i sensi, specchio dell'anima umana.

Non è semplice comprendere l'identità di un paesaggio, neanche per le persone che vi risiedono e si impegnano nella salvaguardia. Il paesaggio è dinamico e appare in modo sempre diverso. Rispecchia il confronto della società civile con le condizioni dettate dal mercato globale, dalla politica nazionale o dell'Unione Euripea, ma anche la situazione locale, geografica, ecologica e culturale. La domanda è: come appare un paesaggio che possiamo sostenere?



Oggi il paesaggio non si forma più naturalmente come un tempo. Diventa multiforme e vitale solo se l'uomo interviene in modo consapevole, e questo vale anche per i metodi agricoli ecologici. I paesaggi possono evolvere se la natura viene compresa in modo nuovo, ad esempio dopo un'attenta percezione sensoriale e la riflessione individuale sul proprio modo di pensare e di agire. in agricoltura, l'uomo può essere il custode della diversità, della tipicità e della bellezza della natura e del paesaggio.

lunedì 21 maggio 2012

la pasta madre



come rinfrescarla
In una zuppiera capiente, aggiungere alla pasta madre un po’ di acqua.
Mescolate bene con una frusta fino a sciogliere la pasta madre nell’acqua.
Aggiungere la farina bianca fino a raggiungere la stessa consistenza che aveva inizialmente la pasta (deve rimanere comunque morbida).
Della nuova pasta così ottenuta, utilizzarne la quantità necessaria e conservare in frigo la rimanente da utilizzare nelle successive rigenerazioni.
La pasta madre si conserva in frigorifero e deve essere rinfrescata almeno una volta a settimana.
La pasta madre si rinfresca sempre con la farina bianca.
Se nelle preparazioni si preferisce utilizzare farine diverse (es. farro, integrale, ecc…), queste vanno aggiunte successivamente negli impasti di base.

fare la pizza
Ingredienti per il pre-impasto :
250 gr. pasta madre
175 gr. di farina
75 gr. acqua a temperatura ambiente
Mescolare bene la pasta madre con l’acqua, poi aggiungere la farina.
Con questo procedimento si prepara il pre- impasto almeno 5 ore prima.

ingredienti per l’impasto:
10 gr. di sale
75 gr. di olio di girasole
550 gr. di farina a piacere (es. farro, kamut, integrale, ecc…)
150 gr. di acqua tiepida

Trascorse 5 ore dalla preparazione del pre-impasto, aggiungere l’acqua dove è stato sciolto il sale, l’olio e mescolare bene con la frusta. Aggiungere quindi la farina e impastare tutto molto bene. Stendere l’impasto nelle teglie e lasciare
lievitare almeno 2 ore, quindi farcire la pizza a piacere.
Cuocere in forno a 180/200° per circa 20 minuti.

martedì 15 maggio 2012

griffin e il pollo


Le radici economiche - alla base dello scontro tra specie umana e avicola - e i danni che questo crea per l’umanità, sono metaforicamente illustrati in questo efficace cartone animato.


martedì 8 maggio 2012

istanbul - report Han 38


Abbiamo visitato uno dei due posti di coworking di Istanbul, situato nel quartiere di Karakoy, appena passato il ponte di Galata. 


Si trova in una zona vissuta soprattutto dalla popolazione locale e abbastanza malmessa, al centro di un processo di ristrutturazione guidato dal Comune per ridargli valore e farne un’area ad uso delle grandi imprese, che dovrebbero subentrare alla presente e tradizionale rete di piccoli rivenditori di ferramenta. 


Come in altri casi di città europee, gli artisti sono andati a risiedere in queste aeree poco care cambiandone la conformazione e ad oggi ci sono circa una quindicina di gallerie d’arte che espongono opere di progettisti e designer in ascesa. 


In questo contesto si situa il coworking da noi visitato, che attualmente ospita 2 architetti e 2 ingegneri informatici, con lo scopo di creare una piccola comunità di giovani professionisti, fotografi, artisti, e designer che interagiscano in modo creativo: ci è stato fatto l’esempio dello sviluppo di piattaforme di ambienti tridimensionali per videogiochi, da parte degli attuali coworkers. Le due ‘architette’ sono turche, giovani allieve di un professionista pare piuttosto conosciuto nella capitale; i due ingegneri informatici sono europei. 


Esiste una rete sociale che permette al gestore del posto, un californiano sulla trentina, di selezionare coloro che vorrebbe facessero parte del suo progetto. Il tempo minimo di affitto del posto è stato da lui fissato a tre mesi, termine temporale sotto il quale ritiene non sia possibile creare un senso di comunità.

In ogni caso, l’esperienza è piuttosto recente: è solo da 15 mesi che esiste questa sede. L’anno precedente il posto è stato utilizzato da altre 4 persone, anche loro di diverse nazionalità, turca ed europea, mentre i nuovi affittuari sono lì dall’inizio dell’anno corrente. Il lavoro del californiano è più di mediatore: da un lato prende in affitto il posto e lo ‘sub-affitta’ai professionisti, dall’altro lavora nella creazione di una comunità nella zona, che tra l’altro sta sviluppando anche bar di stile e con macchine da caffè italiano come ritrovo per giovani professionisti cosmopoliti e dotati di i-phone e minicomputer professionali.


Il posto affittato è su tre piani: al primo sta James, il californiano; al secondo i professionisti, cui viene fornito solo tavolone e sedie, per cui gli strumenti di lavoro sono di proprietà dei coworkers, al terzo una sala riunioni con un altro tavolo.


In totale, secondo il sito web, che tuttavia appare poco curato - è stato fatto in mezz’ora- 120 metri quadrati. Pare che l’altro posto di coworking a Istanbul non sia troppo riuscito e solo questo funzioni: lo ha detto James e in effetti il referente dell’altro posto non è stato troppo pronto a rispondere alle mie mail né a capirne il significato.
Secondo Claudia, il posto, oltre ad essere spartano, pareva anche poco pulito, quindi forse non veniva nemmeno offerto il servizio di pulizia. 


L’integrazione con l’ambiente circostante appare comunque buona, nel senso che è conosciuto nella zona e pare sia parte della lotta che i residenti stanno facendo per non essere estraniati dalla zona dal progetto del comune, teso a soppiantarne le piccole imprese e le piccole case, che vengono comprate e affittate per non farle abbattere.
Il posto visitato appare innovativo nel concetto di organizzazione del lavoro e di collaborazione tra diversi professionisti, rispetto all'idea di coworking è un pò limitato nell'accoglienza di persone esterne che necessitano di una postazione saltuaria. Essendoci persone 'fisse' ci si aspetterebbe un luogo fisico più accogliente e 'personalizzato', invece gli arredi sono al minimo indispensabile e la manutenzione è trascurata. 


Trattandosi comunque di un quartiere in veloce cambiamento non è detto che tra un anno la situazione non sia già migliorata.