venerdì 31 maggio 2013

Salvatore Settis, l'archeologo che era in testa nella mia personale classifica per il Presidente della Repubblica, ha pubblicato sul settimanale Left un interessante manifesto.

In particolare, al punto 8), si legge:

Una parte larghissima del Paese esprime una radicale opposizione a questo corso delle cose. Lo fa secondo modalità diverse, anzi divergenti: (a) la sfiducia nello Stato e il rifugio nell’astensionismo; (b) gesti individuali di protesta; (c) vasti movimenti che tendono alla rappresentanza parlamentare e alla forma-partito, come il M5s; (d) piccole associazioni di scopo, dichiaratamente non-partitiche, per l’ambiente, la salute, la giustizia, la democrazia. Queste ultime sono ormai alcune decine di migliaia, e coinvolgono non meno di 5-8 milioni di cittadini. È a partire dall’autocoscienza collettiva generata da questo associazionismo diffuso (ma anche nei sindacati) che si può avviare la necessaria opera di restauro della democrazia.

 Sì, l'impegno per i temi che ci stanno a cuore è, sarà, un importante tassello che troverà il suo posto nel quadro generale della democrazia del nostro paese. Dobbiamo costruire quella riserva di energie, di aria, di entusiasmo che mancano ad un paese depresso.

venerdì 24 maggio 2013

Emozioni - dipinto di Claudia Zanotti

Scrive Gianluca Mazzella su Il Fattoquotidiano.net che "...oggi ci sono circa 18 varietà resistenti al glifosato (un antiparassitario) che hanno assunto un peso considerevole nelle colture in Brasile, Argentina, Australia e Paraguay. Tanto che la Monsanto sta raccomandando di tornare a usare non solo il glifosato ma un mix di diversi agrofarmaci." 

Significa che l'utilizzo di piante transgeniche capaci di avere esse stesse un effetto insetticida, ha avuto la conseguenza di rendere resistenti alcune specie di insetti.

Non bisogna demonizzare il transgenico, certo, però siamo ben lontani dal vincere la sfida che ci porterà a produrre cibo sano sufficiente per tutti.

sabato 11 maggio 2013

una questione di carne

la carne di manzo

Alla voce carne nella lista della spesa, il consumatore con vena critica si chiederà se valga davvero la pena di investire tempo e denaro in un acquisto di gruppo presso un allevatore di fiducia invece di sbrigarsela al supermercato. Cosa fa la differenza?

La Comunità Europea stabilisce che ogni allevamento biologico deve essere collegato ad un'azienda con terreni certificati. L'allevamento deve essere un arricchimento del terreno (rilasciando azoto, per esempio) e non motivo di inquinamento del terreno e delle acque. Gli animali devono poter pascolare in ampi spazi aperti ed essere nutriti, oltre che con foraggio, con mangimi certificati dei quali almeno il 50% prodotto dall'azienda stessa.

I trattamenti chimici e antibiotici sono permessi in numero limitato a seconda della durata di vita di un animale. Il suino ad esempio che vive circa un anno può subire solo un trattamento. 
Gli animali possono essere trattati con farmaci ma con tempi di sospensioni raddoppiati rispetto ad un animale da allevamento convenzionale. Trattamenti antiparassitari sono concessi agli animali che vanno al pascolo. Sono invece vietati assolutamente i trattamenti di tipo ormonale come la sincronizzazione dei calori, espediente utilizzato per regolare la produzione degli animali oppure sfalsarla a seconda delle  necessità dell’allevatore. Non sono ammesse per i bovini tecniche embrio trasfert che permettono selezioni genetiche, mentre è ammessa ovunque la castrazione dell’animale.

La Comunità Europea prevede un Piano Nazionale Residui tramite il quale vengono stabilite le quote di campioni che ogni regione deve compiere sul proprio territorio per testare tutte le sostanze non desiderate, sia farmacologiche che di inquinamento ambientale. Su Rimini ad esempio vengono effettuati ben 200 campioni annui nonostante non sia una realtà zootecnica significativa.
Oggi sono considerati pericolosi gli inquinanti ambientali come diossina , PCB e metalli pesanti; purtroppo però l’inquinamento ambientale è una piaga che neppure il bio può affrontare e risolvere interamente, ma rispetto ad alcune problematiche come quello dei residui, dei trattamenti fitosanitari e farmacologici la filiera biologica è in grado certamente di tutelare meglio il consumatore offrendo un prodotto più sano.

A onor del vero, a partire dal grande shock della cosiddetta "mucca pazza", anche molti allevamenti tradizionali hanno cambiato l'approccio alle tecniche di produzione, e ora si tende finalmente a dare importanza a tutta la filiera, dalla stalla alla tavola, per così dire, perché si è compreso che molti dei problemi venivano proprio dai mangimi.


Ancora una volta, non abbiamo scoperto niente, dato che la filiera corta esisteva già in passato, anzi,  fino a pochi anni fa il sistema di mercato preferenziale era quello dei piccoli macellai della zona che permettevano all’allevatore di fare bene il proprio mestiere. Si trattava di un meccanismo ben funzionante, rodato nel tempo, che a causa di grosse catene, centri commerciali e globalizzazione, è saltato e difficilmente si ristabilirà. 

Siccome mi dispiace terminare con questa nota pessimista, voglio ricordare che l'acquisto solidale permette di rapportarsi direttamente con gli allevatori e di poter consumare prodotti indubbiamente di qualità superiore, sotto molti punti di vista.