sabato 10 novembre 2012

prego, sorrida

Abbiamo cercato di scattare una foto al RiGAS di questa fine 2012, con un questionario distribuito via e-mail ma anche in versione cartacea nell'habitat del gasista, ossia il punto di ritiro.

Questi sono i grafici con le vostre risposte. Si tratta ovviamente di una foto parziale, dato che le schede pervenuteci sono meno di un terzo degli iscritti, ma probabilmente rappresentano quella fetta di soci che partecipa con più entusiasmo.

Salta subito all'occhio che, negli ultimi due anni, coincidenti peraltro con la creazione delle varie associazioni territoriali, si è verificato un forte avvicinamento ai Gruppi di Acquisto Solidale e ai modelli di consumo per così dire "alternativo", dimostrazione evidente di una crescita di interesse verso i prodotti biologici e  le produzioni locali.

I soci del RiGAS sono in maggioranza famiglie con figli (35%) composti da genitori fra i 36/55 anni, che ordinano tutte le settimane, con una spesa media fra i 20/30 euro. Ben un quarto di loro abita fuori del comune di Rimini.




Nella valutazione dei prodotti molto importante è il rapporto prezzo/qualità, che sia biologico e non necessariamente certificato. L'alternativa al gas sono i supermercati e gli ipermercati.


Apprendiamo con sollievo che la stragrande maggioranza dei soci è soddisfatta dalla qualità dei prodotti, della semplicità dell'ordinazione e dell'accoglienza dei volontari al momento del ritiro.

Si è espresso quasi un plebiscito a favore del bancomat o della carta di credito per il pagamento.

E' scaturito anche l'interesse verso eventuali incontri con specialisti e laboratori di autoproduzione.

Frequentare il RiGAS influenza i soci nella sostenibilità dei comportamenti, nella sobrietà dei consumi e nel rispetto per l'ambiente.

lunedì 5 novembre 2012

la betahaus di Sofia: la sinergia che non ti aspetti

La mobilità tenutasi in Bulgaria dal 24 al 27 settembre 2012 per il progetto Leonardo Partnership sul coworking era dedicata a fare il punto della situazione per quanto riguarda i ‘compiti’ assegnati alle organizzazioni che vi prendono parte; durante la prima riunione a febbraio, svolta a Rimini, abbiamo deciso insieme quali ‘prodotti’ avrebbe portato a termine ciascuna organizzazione e sono state date delle scadenze. Il resto del progetto invece consiste nelle visite ai vari paesi per conoscere i modi in cui hanno applicato il coworking in quella città di quella nazione: finora erano state compiute solo visite, mentre questo era primo momento di esame per i vari prodotti.


Pur essendo un ‘meeting’, cioè una mobilità dedicata alla discussione dei prodotti anziché alle visite, c’è stato una presentazione di una realtà di coworking: Alexander di Betahaus Sofia, che è venuto fino a Veliko Turnovo, (250 km) per parlare di questa sua creazione. Giovane, energetico e sempre sorridente, ha vissuto per otto anni a Berlino, prima da studente poi da lavoratore ed ha sperimentato lì le prime forme di spazio condiviso prima di decidere di importare in Bulgaria il coworking.

Ci ha raccontato dello sforzo di diffondere il concetto e creare una comunità di persone che facessero parte di uno spazio di coworking e delle difficoltà di essere finanziato per aprirlo. Per fare conoscere l’argomento e iniziare a creare un nucleo di persone, hanno usato facebook, partecipato a seminari di ogni tipo, a gruppi di interesse anche solo lontanamente afferenti al tema del coworking perchè non si sa mai chi può trarne vantaggio o avere idee innovative. Per aprire il posto si sono rivolti a vari finanziatori, ma alla fine ci sono riusciti grazie al proprietario dello youtube bulgaro che ha promesso di metterci il 60% di quanto richiesto in totale - mi sembra si sia parlato di un business plan quinquennale - a patto che entro due settimane trovassero il restante contante tramite altri, e appena gli altri hanno saputo che c'era questo pezzo grosso si sono convinti in un attimo. Alla fine, hanno aperto; hanno iniziato il primo di giugno di quest'anno, in un edificio che era prima di una telecom, di 400 metri di ampiezza, su tre piani di cui ne occupano due per un totale di 1000 metri quadrati; ad oggi, ci sono circa 40 persone fisse, lo spazio è davvero grande, e dovrebbero iniziare ad essere in pari da ottobre; secondo Alexander, ad oggi è il centro della vita imprenditoriale, anzi tutti vanno lì perchè è lì che nascono le idee, una agenzia di marketing per un po' ha portato lì tutti i suoi sessanta dipendenti perchè respirassero aria nuova.

Tuttavia hanno scelto di non voler essere un incubatore di nuove imprese, perchè se ci si mette in gruppi poi ci si chiude e si perde l'unica vera ricchezza che è la community, il giro di gente che passa e va, perchè ciò che serve, ciò che si paga, è la sinergia con chi non ti aspetti: ci sono solo 20 sedie per il lavoro di gruppo, vogliono invece dei lavoratori autonomi, professionisti. Il modo migliore, ci ha confermato, è partire con un nocciolo duro di persone che si conoscono e creano un buon ambiente, dopo tre mesi arrivano i loro amici, e poi gli amici degli amici, perchè sanno che lì succede qualcosa: l'investitore vuole investire in aziende e idee, e lì le trova.
Hanno aperto degli altri betahaus in altri due-tre posti in europa e sono tutti molto autonomi tra di loro (diversamente da The Hub, che io ricordi, che è una rete in stretta relazione); hanno spiegato comunque di essere una associazione orientata al profitto, una SRL,  una impresa sostanzialmente, che deve tenersi in piedi senza sussidi di alcun tipo e pagando le tasse. Sono svariate e di diversa natura le iniziative che hanno organizzato per valorizzare la creatività, soprattutto concorsi di idee. Le migliori vincono la mentorship, una specie di tutoraggio per imparare a realizzare l’idea dal punto di vista commerciale, e i loro autori vengono mandati a fare un periodo nella Silicon Valley, la mecca della creatività.