mercoledì 20 giugno 2012

migrazioni: il GAS a parigi

 Chissà chi ha avuto l'idea di chiamare in questo modo i GAS francesi.
 La Ruche qui dit oui (letteralmente: L'alveare che dice sì) è la denominazione comune, che io trovo incredibilmente poetica, sotto la quale si raccolgono i ben 478 gruppi o ruches di Francia.

Mi sembra di capire però che l'unico requisito richiesto ai produttori è la trasparenza, e che il tutto viene portato avanti in nome di un fantomatico miglior prezzo. Come riescano a definirlo, questo miglior prezzo, non lo dicono.


Grazie a Chiara Bellasio per le foto

giovedì 7 giugno 2012

coworking - report da Zara


Il 16 mattina andiamo a piedi verso il centro, all'associazione di Renata, la Camera di Commercio degli artigiani; sono tanti gli iscritti, circa 3.500, per una città, Zara, di 80mila persone (d'altra parte la iscrizione è obbligatoria). C'è stata una diminuzione dall'inizio della crisi, quando erano circa mille artigiani di più. Si trovano dunque in una situazione simile alla nostra, diversamente dalla Turchia, che sperimenta, come abbiamo visto lo scorso viaggio, una fase di forte crescita economica.
A questa breve presentazione dell'associazione che ci sta ospitando segue quella della camera dell'industria nazionale. Il primo prodotto croato è comunque il turismo, segue l'ittica.


Ci spostiamo subito dopo alla sede della Agenzia Regionale per lo Sviluppo - nata col passaggio al capitalismo e chiamata Zadra - in una zona un po' fuori città piena di case di recente edificazione; in questo stabilimento del 2006 sono ospitate aziende nasciture, cui non viene fatto pagare l'affitto per 5 anni (poi devono sloggiare) e offerti servizi di aiuto, amministrativo, strategico e formazione e così via. Pare che occorra insegnare la cultura di impresa, dopo tanti anni di socialismo. (Inoltre le aziende di stato erano andate ai vari squali di questi periodi di transizione che le hanno svuotate e hanno messo in cattiva luce la gestione non socialista, il nuovo modo di condurre le imprese.)
I soldi li mette la regione al 60%, il resto i comuni, che hanno il 49% dei seggi del consiglio di amministrazione.
Sembra quindi funzionare come incubatore di impresa, per un'area di 160mila abitanti; non esistono tuttavia contaminazioni tra le varie aziendine, che anzi potrebbero danneggiarsi, come quella di cioccolato vicina a quella di vernici; un esempio di collaborazione sono invece i regali che ci  vengono offerti: una busta col logo del coworking elaborato da Luca e del cioccolato ivi prodotto avvolto in un contenitore con lo stesso marchio, opera della stamperia al primo piano di uno dei due imprenditori croati coinvolti nel progetto. Ci sono anche il quaderno per gli appunti e, ovviamente, del materiale turistico.


Dopo un pranzo di pesce, torniamo in albergo dove,  nella sala conferenze, Luca propone 6 video trovati nella rete che spiegano a grandi linee il concetto di coworking.

Segue un lungo intervento di Duska, architetta, e soprattutto Milenka, formatrice, sulla loro esperienza di creazione di uno spazio a Zagreb; il posto non c'è ancora, stanno tuttavia lavorando da circa 2 anni alla creazione della community, alla raccolta di fondi per aprire, alla ricerca del posto giusto, che secondo i loro focus groups dovrebbe essere in centro ed abbastanza ampio di metratura.

Portano dunque avanti la filosofia di The Hub ed anzi si avvalgono di un sister hub, quello di Vienna, che sostanzialmente li sta seguendo passo passo accompagnandone la creazione.
Danno molta importanza alle relazioni; il primo nucleo che prenderà posto determinerà, secondo loro, anche l'identità del posto attraverso la selezione di  coloro che arriveranno e che saranno la terra su cui germoglieranno i frutti. Il nucleo è stato trovato per passaparola e attraverso incontri pubblici. Fin dalla prima volta hanno avuto una quarantina di presenti, soprattutto persone che vivono in giro per la Croazia ed hanno bisogno di un posto per quando si recano nella capitale.
Per creare relazioni si sottolinea l'importanza di luoghi di incontro, la cucina, l'angolo caffè (il caffè sarà gratis); su una lavagna andranno, come si fa all'Hub di Amsterdam, attaccati dei biglietti con breve presentazioni di ogni partecipante, di modo che si sappia chi lavora e quindi potrebbe essere interessante per gli altri o i nuovi arrivati; ad Amsterdam esistono gli Host Catalyst, che mettono in contatto i vari lavoratori.
Essendo un posto basato sulle esigenze di coloro che lo vivono, si sottolinea anche l'importanza della co-creazione del posto, come a Rovereto, come ad Amsterdam; quest'ultimo è uno spazio decisamente modulabile, che può diventare una enorme sala conferenze per lezioni frontali, o un insieme di isole di lavoro sparse, o avere anche alcuni spazi privati per incontri per poche persone.
Il secondo giorno di lavoro, il 17 mattina, iniziamo a lavorare sulle loro linee guida, mediante il metodo del World Cafè, per cui si discute un argomento in gruppi e poi si cambia spargendosi per altri tavoli e lasciando solo una persona come memoria storica di quanto detto precedentemente.

I due temi, su cui abbiamo discusso mezz'ora l'uno, sono: 'quali possono essere i potenziali membri-utenti' e ' quali bisogni soddisfa della comunità'.
L'analisi dei bisogni appare in effetti un passaggio non banale; a pranzo Milenka mi cita il 'survey monkey', i focus groups gestiti volontariamente da un prof di sociologia trovato mettendo un annuncio all'università, oppure anche cercando dati sui lavoratori autonomi, sulle nuove imprese innovative, etc. Menziona anche il sempre attuale benchmarking, vedendo quali altri posti esistenti funzionano bene, su quali bisogni si sono regolati. Si può aprire un blog, creare degli eventi o distribuire dei volantini per attirare le persone potenzialmente con un bisogno da soddisfare, magari unificati dall'interesse per l'impatto sociale del proprio lavoro, e così via.
Vengo a conoscenza da una delle inglesi della possibilità del c.d. 'Regus', un piccolo ufficio individuale, abbastanza costoso e con tutti i servizi di base di un ufficio, presente anche a Zagreb, su base mensile, nato per  venire incontro alle esigenze delle persone mobili, in vacanza; il fatto è che non crea comunità.
Un altro concetto interessante, sollevato in modo entusiastico da uno degli altri membri di The Hub Zagreb che ci hanno raggiunto quella mattina sfidando la bora, è la crosspollination, la contaminazione tra idee, competenze e modalità di azione diverse, come lavoro e volontariato, che sfidano il modello economico esistente. Viene ventilata l'ipotesi di fare una vera e propria selezione delle persone che possono far parte del gruppo, mediante colloquio, o che potrebbe esserci interesse da parte di una impresa a far crescere una persona in questo spazio creativo, pagandogli una scrivania lì anziché nella propria sede. Insomma, hanno davvero studiato l'argomento questi di Zagabria.
A metà mattina un gruppo va a fare la visita guidata del centro storico, mentre gli italiani vengono portati a vedere un edificio da restrutturare comprato dalla camera degli artigiani di Renata in cui pensano di costituire il futuro coworking space di Zadar. 

Dopo un altro pranzo luculliano a base di pesce, dal quale gli ultimi tornano verso le 16.30, il pomeriggio viene usato per un altro world cafè, stavolta all'esterno della sala conferenze, davanti alla piscina, su due altri temi: 'how should this space be like? Come ti immagini lo spazio coworking, potendo decidere?' e 'come costruire una comunità sia prima sia durante la vita dello spazio coworking?'; ogni gruppo pensa a dei modi per rendere accogliente il posto, riprendendo le suggestioni della mattina: mostre d'arte, modulabilità, servizi vari, presentazione dei membri gli uni agli altri, caffè, cucina, ping pong, etc.; condividere all'interno e tenersi aperti al mondo invitando a parlare esperti etc.

Infine ci mettiamo in cerchio per le valutazioni finali e, ciliegina sulla torta, Gianni presenta un grande disegno, richiestogli la sera prima da Milenka,  in cui illustra i concetti che ha in mente mediante alcune figure. Poi gli zagrebesi tornano a casa ed è il momento dei saluti.

Sono tutti stravolti dalla combinazione di abbuffate e discussioni impegnative e molti rinunciano alla cena finale, cui sono presenti solo italiani e croati. Qualcuno ha definito piuttosto cari questi pasti, sempre tra i 15 e i 20 euro; i lettoni per esempio andavano a comprare al supermercato e mangiavano in camera.
L'indomani, il 18,  partivano quasi tutti in mattinata; io Renata ed Elisabetta abbiamo fatto un giro in battello e nel pomeriggio Luca ci ha raggiunti a casa di Renata per un pranzo-cena a base di pasta ai frutti di mare e branzino grigliato cotto alla brace nel suo cortile. Simone e Gianni invece avevano già preso la via del ritorno a tappe visitando alcuni posti di coworking in Italia: finalmente qualcuno ne vede uno dal vivo!!