sabato 11 maggio 2013

una questione di carne

la carne di manzo

Alla voce carne nella lista della spesa, il consumatore con vena critica si chiederà se valga davvero la pena di investire tempo e denaro in un acquisto di gruppo presso un allevatore di fiducia invece di sbrigarsela al supermercato. Cosa fa la differenza?

La Comunità Europea stabilisce che ogni allevamento biologico deve essere collegato ad un'azienda con terreni certificati. L'allevamento deve essere un arricchimento del terreno (rilasciando azoto, per esempio) e non motivo di inquinamento del terreno e delle acque. Gli animali devono poter pascolare in ampi spazi aperti ed essere nutriti, oltre che con foraggio, con mangimi certificati dei quali almeno il 50% prodotto dall'azienda stessa.

I trattamenti chimici e antibiotici sono permessi in numero limitato a seconda della durata di vita di un animale. Il suino ad esempio che vive circa un anno può subire solo un trattamento. 
Gli animali possono essere trattati con farmaci ma con tempi di sospensioni raddoppiati rispetto ad un animale da allevamento convenzionale. Trattamenti antiparassitari sono concessi agli animali che vanno al pascolo. Sono invece vietati assolutamente i trattamenti di tipo ormonale come la sincronizzazione dei calori, espediente utilizzato per regolare la produzione degli animali oppure sfalsarla a seconda delle  necessità dell’allevatore. Non sono ammesse per i bovini tecniche embrio trasfert che permettono selezioni genetiche, mentre è ammessa ovunque la castrazione dell’animale.

La Comunità Europea prevede un Piano Nazionale Residui tramite il quale vengono stabilite le quote di campioni che ogni regione deve compiere sul proprio territorio per testare tutte le sostanze non desiderate, sia farmacologiche che di inquinamento ambientale. Su Rimini ad esempio vengono effettuati ben 200 campioni annui nonostante non sia una realtà zootecnica significativa.
Oggi sono considerati pericolosi gli inquinanti ambientali come diossina , PCB e metalli pesanti; purtroppo però l’inquinamento ambientale è una piaga che neppure il bio può affrontare e risolvere interamente, ma rispetto ad alcune problematiche come quello dei residui, dei trattamenti fitosanitari e farmacologici la filiera biologica è in grado certamente di tutelare meglio il consumatore offrendo un prodotto più sano.

A onor del vero, a partire dal grande shock della cosiddetta "mucca pazza", anche molti allevamenti tradizionali hanno cambiato l'approccio alle tecniche di produzione, e ora si tende finalmente a dare importanza a tutta la filiera, dalla stalla alla tavola, per così dire, perché si è compreso che molti dei problemi venivano proprio dai mangimi.


Ancora una volta, non abbiamo scoperto niente, dato che la filiera corta esisteva già in passato, anzi,  fino a pochi anni fa il sistema di mercato preferenziale era quello dei piccoli macellai della zona che permettevano all’allevatore di fare bene il proprio mestiere. Si trattava di un meccanismo ben funzionante, rodato nel tempo, che a causa di grosse catene, centri commerciali e globalizzazione, è saltato e difficilmente si ristabilirà. 

Siccome mi dispiace terminare con questa nota pessimista, voglio ricordare che l'acquisto solidale permette di rapportarsi direttamente con gli allevatori e di poter consumare prodotti indubbiamente di qualità superiore, sotto molti punti di vista.

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