Abbiamo
visitato uno dei due posti di coworking di Istanbul, situato nel
quartiere di Karakoy, appena passato il ponte di Galata.
Si trova in
una zona vissuta soprattutto dalla popolazione locale e abbastanza
malmessa, al centro di un processo di ristrutturazione guidato dal
Comune per ridargli valore e farne un’area ad uso delle grandi
imprese, che dovrebbero subentrare alla presente e tradizionale rete
di piccoli rivenditori di ferramenta.
Come in altri casi di città
europee, gli artisti sono andati a risiedere in queste aeree poco
care cambiandone la conformazione e ad oggi ci sono circa una
quindicina di gallerie d’arte che espongono opere di progettisti e
designer in ascesa.
In questo contesto si
situa il coworking da noi visitato, che attualmente ospita 2
architetti e 2 ingegneri informatici, con lo scopo di creare una
piccola comunità di giovani professionisti, fotografi, artisti, e
designer che interagiscano in modo creativo: ci è stato fatto
l’esempio dello sviluppo di piattaforme di ambienti tridimensionali
per videogiochi, da parte degli attuali coworkers. Le due
‘architette’ sono turche, giovani allieve di un professionista
pare piuttosto conosciuto nella capitale; i due ingegneri informatici
sono europei.
Esiste una rete sociale che permette al gestore del
posto, un californiano sulla trentina, di selezionare coloro che
vorrebbe facessero parte del suo progetto. Il tempo minimo di affitto
del posto è stato da lui fissato a tre mesi, termine temporale sotto
il quale ritiene non sia possibile creare un senso di comunità.
In ogni caso, l’esperienza è piuttosto recente: è solo da 15 mesi che esiste questa sede. L’anno precedente il posto è stato utilizzato da altre 4 persone, anche loro di diverse nazionalità, turca ed europea, mentre i nuovi affittuari sono lì dall’inizio dell’anno corrente. Il lavoro del californiano è più di mediatore: da un lato prende in affitto il posto e lo ‘sub-affitta’ai professionisti, dall’altro lavora nella creazione di una comunità nella zona, che tra l’altro sta sviluppando anche bar di stile e con macchine da caffè italiano come ritrovo per giovani professionisti cosmopoliti e dotati di i-phone e minicomputer professionali.
In ogni caso, l’esperienza è piuttosto recente: è solo da 15 mesi che esiste questa sede. L’anno precedente il posto è stato utilizzato da altre 4 persone, anche loro di diverse nazionalità, turca ed europea, mentre i nuovi affittuari sono lì dall’inizio dell’anno corrente. Il lavoro del californiano è più di mediatore: da un lato prende in affitto il posto e lo ‘sub-affitta’ai professionisti, dall’altro lavora nella creazione di una comunità nella zona, che tra l’altro sta sviluppando anche bar di stile e con macchine da caffè italiano come ritrovo per giovani professionisti cosmopoliti e dotati di i-phone e minicomputer professionali.
Il posto affittato è su
tre piani: al primo sta James, il californiano; al secondo i
professionisti, cui viene fornito solo tavolone e sedie, per cui gli
strumenti di lavoro sono di proprietà dei coworkers, al terzo una
sala riunioni con un altro tavolo.
In totale, secondo il sito web,
che tuttavia appare poco curato - è stato fatto in mezz’ora- 120
metri quadrati. Pare che l’altro posto di coworking a Istanbul non
sia troppo riuscito e solo questo funzioni: lo ha detto James e in
effetti il referente dell’altro posto non è stato troppo pronto a
rispondere alle mie mail né a capirne il significato.
Secondo Claudia, il
posto, oltre ad essere spartano, pareva anche poco pulito, quindi
forse non veniva nemmeno offerto il servizio di pulizia.
L’integrazione con l’ambiente circostante appare comunque buona,
nel senso che è conosciuto nella zona e pare sia parte della lotta
che i residenti stanno facendo per non essere estraniati dalla zona
dal progetto del comune, teso a soppiantarne le piccole imprese e le
piccole case, che vengono comprate e affittate per non farle
abbattere.
Il posto visitato appare
innovativo nel concetto di organizzazione del lavoro e di
collaborazione tra diversi professionisti, rispetto all'idea di
coworking è un pò limitato nell'accoglienza di persone esterne
che necessitano di una postazione saltuaria. Essendoci persone
'fisse' ci si aspetterebbe un luogo fisico più accogliente e
'personalizzato', invece gli arredi sono al minimo indispensabile e
la manutenzione è trascurata.
Trattandosi comunque di un
quartiere in veloce cambiamento non è detto che tra un anno la
situazione non sia già migliorata.
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